Radici e futuro di un’arte della trasfigurazione
Secondo la numerologia tradizionale, il 6 è un simbolo ambiguo. Giano bifronte, allude all’opposizione della creatura al Creatore, in un equilibrio precario, che può avere tanto risvolti positivi quanto negativi: può inclinare verso il bene o verso il male, tendere all’unione mistica con il divino o trapassare nella ribellione demonica (666 è, secondo l’Apocalisse giovannea, il “numero della bestia”). Si tratta, in ultima istanza, del numero della prova, della de-cisione fra bene e male. Il numero simbolo per eccellenza dell’iniziazione.
Organizzare un Festival artistico, dedicato al sommo Raffaello Sanzio, sotto questi auspici (trattandosi della sesta edizione del Festival del Nuovo Rinascimento, già transitato due volte a Milano, altrettante a Lucca ed una a Trento), è un grande impegno, tanto rispetto al proprio passato – dovendo confermare la qualità e il successo delle precedenti edizioni – quanto, ancor più, rispetto al confronto con il maestro rinascimentale. Un artista che il Nuovo Rinascimento sente assai vicino alla propria sensibilità. Dopo aver celebrato, nell’edizione 2019, Leonardo Da Vinci, genio proteiforme di un umanesimo multidisciplinare, protomodernista ed eternamente iconico, il Festival invita gli artisti coinvolti a misurarsi con Raffaello, artista alchimista, mago della simbologia, ponte spirituale fra paganesimo e cristianità. L’occasione permette di approfondire ancor più esplicitamente quei temi spesso nascosti eppure centrali nella coscienza degli autori di quel “Rinascimento magico” che gli studi di Ioan Petru Culianu, Frances Amelia Yates, Giorgio Agamben, Daniel Pickering Walker e Will-Erich Peuckert, solo per citarne alcuni, hanno ampiamente documentato e lumeggiato. Un Rinascimento, insomma, davvero olistico e integrale, misticamente connotato, ben più originale e (in)attuale di tanti uman-ismi che sull’uomo si limitano a coniare e diffondere slogan.
Decisiva è da sempre, all’interno del Nuovo Rinascimento, la passione per l’inquietudine e la vivacità culturale di questa fase storico-artistica, nonché per il suo tentativo di proporre una visione integrata del reale, in cui tutte le discipline possano giocare insieme a quel ludico ma serissimo programma di costruzione di una conoscenza totale, sintetica, analogica e metafisica del cosmo che fu sempre il centro propulsore dell’Umanesimo; ma, insieme, vigorosa è la passione, ancor più tragica e lacerante, per la nostra contemporaneità, per la vitalità e dinamicità dell’uomo che si continua a manifestare tutt’oggi, sebbene sempre più contraddittoriamente e secondo schemi spesso confusi e disorganici.
Ecco che allora serve un bagaglio culturale “forte” per diventare autenticamente cittadini del presente e adeguare la nostra coscienza – perlopiù attardatasi su logiche sette/ottocentesche – al nuovo millennio che già da tempo, ormai, incalza noi tutti sul piano della scienza (fisica quantistica), della tecnologia (il digitale), della filosofia (dal postmodernismo alle neuroscienze), degli scenari socio-politici (la globalizzazione, o “planetarizzazione”, per dirla con Heidegger), della stessa percezione delle cose (il virtuale). Serve un Umanesimo, appunto.
Di cui l’opera di Raffaello è un modello decisivo. Si pensi, per citare una sua celeberrima opera, al magistero eterno della sua Trasfigurazione, simbolo par excellence, stando a Nietzsche, della raggiante complexio oppositorum di apollineo e dionisiaco: «La metà inferiore col ragazzo indemoniato, gli uomini in preda alla disperazione che lo sostengono, gli smarriti e angosciati discepoli, ci mostra il rispecchiarsi dell’eterno dolore originario, dell’unico fondamento del mondo: l’“illusione” è qui un riflesso dell’eterno contrasto, del padre delle cose. Da questa illusione si leva poi, come un vapore d’ambrosia, un nuovo mondo illusorio, simile a una visione, di cui quelli dominati dalla prima illusione non vedono niente – un luminoso fluttuare in purissima delizia e in un’intuizione priva di dolore, raggiante da occhi lontani. Qui abbiamo davanti ai nostri occhi, per un altissimo simbolismo artistico, quel mondo di bellezza apollinea e il suo sfondo, la terribile saggezza di Sileno, e comprendiamo, per intuizione, la loro reciproca necessità» (La nascita della tragedia).
Sulla base di queste premesse – impegnative ma appassionanti – gli artisti coinvolti nell’esposizione si sono confrontati con la tematica umanista e con la figura di Raffaello. Come realizzare, tuttavia, un’arte neorinascimentale, ossia un’arte adeguata a delineare un Umanesimo all’altezza dei tempi? Le risposte non sono state univoche, né da un punto di vista tematico né sotto un profilo stilistico. Il Nuovo Umanesimo non intende d’altronde farsi “scolastica” né, tantomeno, dogma estetico. La sua progettualità invita però, anche e soprattutto su un piano artistico, a ripensare alcuni nodi che l’arte contemporanea tende talvolta – troppo spesso, a nostro avviso – a dimenticare. Fra di essi, ne cito di sfuggita alcuni: il rapporto fra estetica e sacro – perché non riparlare di estetica teologica, ad esempio? –, la centralità della meraviglia nella dimensione artistica, la funzione anagogica dell’arte, la componente corporea, materica dell’opera, l’attenzione per la formazione tecnica, quasi artigianale, dell’artista, il rapporto con la tradizione culturale, l’afflato mitopoietico delle creazioni autentiche, la questione filosofica del senso, la bellezza come categoria estetica. Un novero di spinose questioni, risolte dal singolo artista secondo approcci diversi, che implicano indirizzi e valutazioni critiche molto distanti, ma che insieme, nella relazione delle loro note, generano uno spartito dalla sinuosa armonia. Nell’auspicio di aver intavolato un dialogo fruttuoso con “Raffaello il Mago” – come recentemente Davide Foschi ha definito l’artista, alla luce della sua essenza neoplatonica.
– Luca Siniscalco